La speranza equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi.

Muri, genocidi e dintorni: pensieri sparsi dall’Aldiquà

Posted: Gennaio 17th, 2013 | Author: | Filed under: General | Tags: , , , | 2 Comments »

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Quando, nel 1875, il titolare del Ministero della Guerra (ah, la brutale sincerità dei tempi andati!) argentino si ripromise di liberare le regioni interne della nazione dagli indios che le abitavano da secoli, la prima cosa che gli venne in mente di fare fu di ordinare la costruzione di una trincea di trecentosettantaquattro chilometri nel mezzo della pampa. Noi di qua, voi di là. Sarebbe seguito quello che molti ritengono il primo genocidio dell’umanità. Errori di percorso.

Centotrenta anni dopo, il Ministro della Difesa del governo Sharon, in Israele,  ha la stessa, brillante idea dello statista argentino. E’ il 2002: contro gli attacchi terroristici (?!) si inizia a costruire una barrirera protettiva (questa è la denominazione ufficiale) che separi la Cisgiordania dallo stato sionista. Detto, fatto: settecento chilometri. Cui si aggiungono quelli della identica barriera che circonda la striscia di Gaza (murata già nei primi anni ’90, poi di nuovo nel 2001 dopo la Seconda Intifada). Che uno, a voler essere cinico e un pò infantile, dice: rozzo, ma efficace. Voi rompete il cazzo a noi, e per di più non fate altro che lamentarvi di quanto noi vi rompiamo il cazzo? Bene: ciascuno dalla sua parte, almeno restiamo in pace. Questa placida visione delle cose è disturbata però da un problema non da nulla. E non si tratta solo del fatto che attraverso il muro della Cisgiordania Israele abbia inglobato una parte considerevole del territorio palestinese (operazione che è stata dichiarata illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia). Il problema è la massa dei morti che costellano l’attuazione di queste geniali intuizioni politiche. Dalla ri-costruzione del muro attorno a Gaza sono state almeno sette le operazioni militari che hanno colpito la Striscia (“Arcobaleno”, “Giorni di penitenza”, “Piogge estive”, “Nuvole d’autunno”, “Inverno caldo”, “Piombo fuso”, “Colonna di nuvole”*). Bombardamenti, invasioni via terra. Per non parlare delle vittime dirette dei soldati di guardia. Le ultime due risalgono a martedì scorso. Erano Samir Ahmed Awad e Mustafa Abu Jarad, colpevoli di essersi avvicinati troppo alle barriere. Errori di percorso? Probabilmente no, chè i politici israeliani continuano a farsi promotori della stessa soluzione per la “pubblica sicurezza”. E’ di questi giorni la notizia che si continueranno le costruzioni per difendere Israele dai vari “nemici” ai confini: da Siria e Libano (contro Hezbollah, pare), e dall’Egitto (Sinai). Quest’ultima barriera servirà anche ad arginare le ondate migratorie dall’Africa centrale. Il che ricorda un altro muro, in una parte del mondo insospettabile. Il confine tra USA e Messico. Chilometri di lamiera, torrette e guardie. Duemila morti in neanche dieci anni. Il problema ritorna: c’è qualcosa di profondamente aggressivo in queste opere di difesa. Il muro che si rivela in realtà la piattaforma di lancio per azioni offensive. Solo bombe e proiettili possono passare. E i finanziamenti, chiaro.

Non è solo questione di ottusità mentale. L’apparente contraddittorietà di questo fenomeno non si spiega solo con la mentalità chiusa di certe culture reazionarie. C’è qualcosa in più. E’ la vecchia, segreta storia di ogni appello inneggiante alla sicurezza: invece che nasconderli, i muri mostrano i nemici. Dietro quella barriera di sicurezza, l’arabo stremato da anni di assedio in un lampo è il terroristafondamentalistakamikazejihadista, il messicano il narcos assetato di sangue, il sudanese lo stupratore seriale. Il muro non è mai uguale da entrambi i lati. Così premere il grilletto diventa molto più facile, nell’Aldiquà. Quasi come cambiare canale. Perchè le favole, anche le più ambigue, diventino reali, uno dei mezzi più efficaci è nascondere la realtà.  Ancora una volta, è una questione di informazione. E ancora una volta a noi sta cercare di far sì che almeno le voci di chi è di là vengano ascoltate da questa parte.

*Il fatto che i nomi paiano usciti da una poesia del primo Romanticismo inglese non è per nulla divertente.

Neno

P.S. ai norditalici: Questo discorso NON vale per il lungolago di Como (almeno, non risultano voci di gruppi terroristici provenienti dalla Svizzera). Può valere invece per il “fortino” in Val Susa.

 


2 Comments on “Muri, genocidi e dintorni: pensieri sparsi dall’Aldiquà”

  1. 1 pedd said at 20:32 on Febbraio 7th, 2013:

    Muri di cartone, di specchi, di colore e parole contuse.
    Tutto è lecito per chi non è visto e non vede, nessuno sarà condannato, perché nessuno riesce a scorgere e capire realmente cosa accade… E’ un concetto enorme il ‘muro’. può estendersi per chilometri o qualche ventina di pollici, chi si chiede come attraversarlo, ha già iniziato a varcarlo, ma è solo all’inizio. Come solo nelle migliori occasioni della storia (tranne per il lungo lago comasco) i muri prendono vera e propria forma fisica: un giorno puoi passare e l’altro no, è semplice, senza giri di parole, all’inizio non ci si rende veramente conto, solo un po’ di frustrazione e rabbia ti invade. Dopo neanche tanto tempo neanche più quello.
    Non è forse il ‘muro’ ciò che è veramente pericoloso, ma il fatto che con il tempo lo si dimentica, ci si gira e si guarda l’altra metà del mondo. Fino a che, a furia di girarsi ci si resta chiusi.

    *non che la palestina si sia lasciata chiudere tra il mare ed il piombo di spontanea volontà, questo che ho detto si estende a chi sta dentro e a chi tace fuori(o dentro anche fuori di là??)

  2. 2 Neno said at 21:40 on Febbraio 7th, 2013:

    Quello che tu, mio vecchio,
    scorgi oltre frontiera
    è quanto è qua
    La barriera
    -non te n’accorgi?- è uno specchio.

    Lo sapeva esprimere perfettamente Giorgio Caproni (è “La barriera” in Res amissa). Hai perfettamente ragione quando scrivi che si tende a guardare “l’altra metà del mondo”. E quando i muri ti circondano, allora sì, rabbia e frustrazione si accumulano e raggiungono pressioni imponenti. A breve pubblicheremo la traduzione del “Manifesto” dei ragazzi di Gaza. “Frustrazione” è una delle parole più ricorrenti. Perchè quando sei dalla “parte sbagliata”, lo sguardo non puoi permetterti di spostarlo. Noi possiamo, ed il tuo commento questo lo sottolinea benissimo. Dunque, chapeau, e grazie!