La speranza equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi.

Parlare di Palestina. Un appello anacronistico

Posted: Giugno 26th, 2013 | Author: | Filed under: General | Tags: , , , , , | Commenti disabilitati su Parlare di Palestina. Un appello anacronistico

[Pubblichiamo di seguito una piccola riflessione “metodologica” sul nostro – embrionale – sforzo blogghistico, che abbiamo scritto per Aspettando un giorno di sole, giornalino indipendente curato da ragazzi di Como e dintorni]

EI 1

I primi dei, i creatori del mondo, i più grandi di tutti, non nacquero grandi e sapienti. Anzi, erano piccoli e non sapevano nulla. Parlavano tra loro, tutto il tempo, ma non capivano nulla di quello che dicevano gli altri. Per quanto parlassero, non sapevano nulla. Fino  a che, vai a sapere come e perché, ci fu un momento in cui tutti furono zitti nello stesso istante.
(Subcomandante Marcos, Storia dell’uno e dei tutti)

Cari lettori, lettrici, destinatari più, meno, del tutto casuali, occasionali, fissi, precari,

Questo non è un articolo, né una presentazione. Forse è un appello. Comunque, non abbiamo nulla da insegnarvi. Soltanto: vogliamo parlare di Palestina, vogliamo parlarne con voi. Lo abbiamo deciso quando in realtà volevamo solo urlare. Piovevano bombe su Gaza, e ogni bomba era una notizia, spesso solo centoquaranta caratteri in lingue varie.  Il che è bizzarro: nessuno vuole parlare quando tutti urlano. E c’è sempre, da qualche parte, qualcuno che urla. Sembra insensato soffermarsi nel mare di quelli che chiamano “problemi dell’umanità”, e per di più soffermarsi su una striscia di terra che solleva interrogativi dannatamente intricati. Forse lo è davvero, forse l’unica cosa da fare è interrogarsi sulle urla in sé. O si pensa, o si urla. Meglio non parlare.

Nemmeno il tempo di formulare questi pensieri, e ci siamo accorti che il clamore era sparito. Nessuna bomba, nessuna parola. Gaza non esisteva più, la Palestina aveva fatto in tempo ad apparire all’ONU. È strano, non facciamo altro che informarci, eppure ci sfugge sempre qualche conflitto irrisolto. Ovvio, non possiamo sapere sempre tutto. È l’attualità: le notizie fresche germogliano su quelle rinsecchite. Una bomba, una notizia. Non neghiamo questo principio. Ma ha veramente senso abbandonarsi completamente a questo flusso continuo di immagini-lampo? Cosa ci rimane alla fine? Ci dicono che la democrazia sia inarrestabile: abbiamo Twitter, è solo una questione di tempo. Tutti sapranno tutto: se possiamo sentire ogni singolo urlo levato in ogni angolo del pianeta non possiamo restare indifferenti. Non è così, e spesso l’indifferenza deriva proprio dal sovraccarico di sofferenza che ci vediamo continuamente davanti. Per questo abbiamo deciso di essere anacronistici. Non vogliamo parlare di attualità, vogliamo parlare di una terra, con una storia, con mille storie intricate. Vorremmo provare a raccontarne qualcuna. E se vogliamo anche riflettere, fermarci a pensare (e poi anche a lottare), saremo per forza di cose in ritardo. Ce ne faremo una ragione.

Ma perché proprio la Palestina?

Palestina come interesse personale. Kapuściński, a chi gli chiese la motivazione del suo non raccontare la Polonia, sua terra natia, per volgere, invece, l’attenzione a paesi distanti, semplicemente rispose che proprio quei paesi erano ciò che destava il suo interesse. C’era chi scriveva riguardo la Polonia, a lui interessava altro e proprio di quest’altro voleva scrivere. Non deve esistere una graduatoria circa quale tematica sia prioritario trattare, sia essa la cronaca locale o la politica estera. Al contrario, dovrebbe esistere una scrittura intenzionale, che nasca da un interesse profondo, volta a suscitare qualcosa.

Palestina come indignazione personale. “Oggi, la mia principale indignazione riguarda la Palestina, la striscia di Gaza, la Cisgiordania. Questo conflitto è causa per me di grande indignazione”. La facoltà di indignazione e l’impegno che ne consegue sono, secondo Stéphan Hessel, componenti squisitamente connaturate all’essere umano. Riteniamo difficile tenere a freno il corso dei pensieri di fronte a quanto è vissuto quotidianamente dal popolo palestinese. Riteniamo utile non lasciare questo fiume di indignazione libero di fluire disordinatamente; più utile trasformarlo in una rabbia produttiva, creativa, ordinarlo nell’estetica essenziale della parola scritta.

La speranza è che questo fiume arrivi non a travolgere, ma a lambire anche voi. Arrivi non a creare informazione, ma riflessione. Arrivi a rendere la Palestina un interesse collettivo, indignazione collettiva, impegno collettivo.

Al-Mishmish