La speranza equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi.

‘Bukra fil-mishmish. Letteralmente, “domani, quando matureranno le albicocche”. Più liberamente, o meglio, cercando un corrispetivo nella nostra lingua, “aspetta e spera”.

Gaza sotto attacco. I fiumi di parole, i continui aggiornamenti in diretta; quali armi, quali bombe, quali missili, quale la loro gittata, quali le alleanze, quali i giochi di potere; la precisione sconfortante nelle cifre di morti e feriti, i morti e i feriti ridotti a cifre dalla precisione sconfortante.

Sembra lontanissimo il momento in cui la questione palestinese era, ancora una volta, il soggetto principe di giornali e telegiornali. E, invece, non è altro che due mesi fa.
Poi, il silenzio.

È in questo contesto generale di silenzio o di parola soffocata, di difficoltà nel reperire informazioni, che si inserisce il nostro intento:

senza alcuna pretesa di farsi portatori di verità rivelate o di notizie faziose e  senza assumere un atteggiamento cieco;

essendo, in primo luogo, persone che vogliono sapere, conoscere ed informarsi; e, solo come secondo obiettivo, far sapere, far conoscere e informare;

per non abbandonarsi ad un comodo “niente nuove, buone nuove”; per non aspettare e sperare in un’informazione più precisa e puntuale da parte dei media, senza essere noi stessi in primo luogo dei ricettori attivi.

Ultimo, ma non per importanza, per farci, nel nostro piccolo, portatori di un messaggio di cambiamento, o anche solamente, di un messaggio di speranza  per il futuro della Palestina.
Così che il ‘bukra fil-mishmish non sia un’affermazione rassegnata e sfiduciata, ma risulti caricata di un valore positivo.

Silvia Absa