La speranza equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi.

Oblita Corrige

Posted: Gennaio 14th, 2013 | Author: | Filed under: General | Tags: , , , , | Commenti disabilitati su Oblita Corrige

Avremmo voluto dedicare questo blog alla Palestina. Eravamo indignati, incazzati per l’indifferenza pubblica ai massacri, alle provocazioni. Avremmo voluto essere i vostri tarli del dubbio.

Invece una mattina ti svegli e scopri che quella regione di mondo che sembrava starti tanto a cuore non esiste. Scomparsa: non un titolo, non un cenno. Allora cominci a chiederti se  sia mai esistita, magari avevano ragione quei politicanti statunitensi…  Di certo è stata tra noi qualche ora, il 29 novembre, quando è stata ammessa come membro osservatore all’ONU (“osservatore” perchè il veto degli USA ha fatto sì che la richiesta di ammissione come membro effettivo venisse sempre respinta. Se la memoria non mi inganna, chiaro). Questo sembra di ricordarlo. Prevedibilmente resusciterà in tempo per fare qualche richiesta all’Assemblea, magari un appello perchè si fermi la colonizzazione israeliana e il proliferare di palazzi che mirano a soffocare le ultime zolle di terra ancora in qualche modo indipendenti del territorio della Cisgiordania. Prevedibilmente. Allora accadrà che i rappresentanti delle nostre nazioni si leveranno indignati contro questo scempio, minacceranno misure severissime, fino a che… Palestina? Devo averlo gia letto da qualche parte… Non era dove hanno fatto quella guerra con i fondamentalisti islamici? Vuoto pneumatico. Con calma, cerchiamo di far riaffiorare qualcosa. “Dobbiamo radere al suolo interi quartieri di Gaza. Radere al suolo Gaza tutta intera. Gli americani non si sono fermati di fronte ad Hiroshima. Il desiderio di evitare di colpire civili innocenti a Gaza alla fine porterà a danneggiare i veri innocenti: i residenti a Sud di Israele. I residenti di Gaza non sono innocenti, hanno eletto Hamas”. Niente? Sono parole di Gilad Sharon (il figlio di Ariel, l’ex-premier israeliano) sulle pagine del Jerusalem Post, uno dei più importanti quotidiani di Israele. Era il 18 novembre, due mesi fa. I giorni in cui i bombardamenti dell’IDF su Gaza uccidevano centosessantatrè persone, i giorni in cui la vita era questo. Difficile dimenticare le immagini, per quanto lontane. Ma le parole sfuggono, e ci sono sfuggite, assieme ai loro autori. E’ bastata qualche settimana a cancellare il ricordo:  non abbiamo visto nulla, nulla degli gli appelli dei ragazzi di Gaza (“”Da Gaza alla gente di tutto il mondo. Noi non siamo numeri, noi siamo esseri umani! Abbiamo dei nomi, abbiamo delle famiglie, abbiamo dei bambini, abbiamo delle emozioni e abbiamo dei sentimenti. Ogni vita ha una storia. Come le avete voi e come qualsiasi essere umano! Non siamo solo delle dannate notizie di morte!”), nessuna delle centinaia di denunce di organizzazioni umanitarie sul posto. Qualche vaga reminiscenza di titoli di giornale: “terroristi”, “appelli per la pace” , “razzi”. Roba vecchia. Roba morta.

La mattina del 10 dicembre gruppi di soldati dell’esercito israeliano fanno irruzione nelle sedi di tre ONG palestinesi (Ad-Dameer, Rete ONG Palestina, Unione Comitati delle Donne): dagli uffici devastati (qui il link alle foto) scompaiono fotocamere, documenti, laptop, hard disk. E allora viene un dubbio. Forse non erano vuoti di memoria. Forse la perdita di memoria avviene a livello oggettivo molto prima di quanto avvenga a livello soggettivo. E magari,  ti chiedi, una regola della nostra realtà felice e pacifica può essere proprio questa: uccidete, se volete, ma che non si venga a sapere. Il compito primario degli eserciti diviene allora quello di eliminare le potenziali testimonianze prima ancora di procedere a eliminare i nemici, i ribelli, i terroristi. Durante gli ultimi bombardamenti su Gaza tra i primi obiettivi sono state colpite le sedi dei mezzi di informazione. E pochi giorni fa sono state pubblicate alcune dichiarazioni di soldati israeliani al governo nelle quali si lamenta la continua presenza di telecamere in mano ai manifestanti palestinesi, che impedisce una serena repressione delle proteste (“T. says the cameras on the ground undermine the forces’s efforts. “A commander or an officer sees a camera and becomes a diplomat, calculating every rubber bullet, every step. It’s intolerable, we’re left utterly exposed. The cameras are our kryptonite.” ). Eppure è evidente che per quanto sforzi si facciano per stroncare sul nascere le voci dei testimoni diretti, abbiamo comunque accesso a una gran quantità di informazioni di prima e di seconda mano (e la rete è evidentemente la principale risorsa in questo senso).  Si tratta di cercarle. Non ci mostreranno le bombe, gli arresti di massa, i check-point, le colonie, i profughi. Bisogna guadagnarseli. Dopodichè, sapere non è abbastanza, e dovremo riflettere. Ma per farlo in tutta coscienza, forse vale la pena tenere anche solo una piccola parte del nostro udito sintonizzata su quel lembo di terra in perenne lotta per esistere.

Neno

 

 

 


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