La speranza equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi.

Rotta di collusione

Posted: Giugno 3rd, 2013 | Author: | Filed under: General, Rifiuti Generici | Tags: , , , , , | Commenti disabilitati su Rotta di collusione

“La ragion di stato? Ci ha piuttosto infastidito: tolgano la ragione” (Joaquín Sabina)

C’è una domanda che si annida silenziosamente in qualche anfratto della nostra mente le prime volte che sentiamo parlare di questione palestinese. E’ una domanda un poco subdola, infantile ma dall’aria solida e netta. Roba per gente che non ama perdersi in sottigliezze intellettuali, ma anche, spesso, obiettivo più o meno cosciente di alcune riflessioni intellettuali.

Insomma (con certo imbarazzo): ha ragione la Palestina o ha ragione Israele?

Le cose, si sa, non sono mai o bianche o nere. Così, davanti a questa domanda spesso la retorica ufficiale assume un atteggiamento paterno (leggi: paternalistico): non mi interessa chi tra i due abbia iniziato, dovete smetterla!  La tipica riflessione politicamente corretta parte quasi sempre da un presupposto che pare quasi puramente formale: la questione palestinese è molto delicata. Ti pare di vederla, la questione di cristallo in bilico su un puntale. Non vorremmo rischiare di farla cadere spostando il peso su un lato, certo. Ma forse è meglio non guardarla nemmeno, non si sa mai…

C’è qualcosa di piuttosto ambiguo in questi appelli alla correttezza politica. Si tende a dipingere il conflitto sempre come fosse simmetrico, unificato dall’esecrabile mostro della “violenza”. Si dice: condanniamo la colonizzazione israeliana ma anche la reazione palestinese, e sembra perfettamente coerente. Di per sè, lo è. Il problema sta proprio nel frame, nel presupposto del discorso: sassi e bombe, colonizzazione e lotta per la sopravvivenza, si equivalgono in quanto violenti. Non si può mettere in discussione l’esistenza stessa dello stato di Israele: ma che cos’è lo stato di Israele? “L’unica democrazia mediorientale” o una nazione fondata su di un colonialismo razzista ai danni di un intero popolo? I palestinesi sono terroristi sanguinari o ribelli in lotta per esistere? Sto semplificando, eppure il paradosso è evidente: invece di condannare tutto come pretende, il politically correct tende a giustificare le cose come stanno. La situazione è così delicata che è meglio girarsi dall’altra parte; intanto, in attesa della “fine delle ostilità”, meglio evitare un’analisi profonda.

Il problema di questo schema di pensiero sta nel rifiuto di confrontarsi con la realtà, nel non voler sentir ragioni che non si pongano all’interno di presupposti fissati piuttosto arbitrariamente. La storia, sembra che si dica, non ci interessa finchè non è pacificata. E allora la riflessione sulla pace diventa un puro esercizio di riflessione da salotto, vuoto e astratto. Di qui a prese di posizione stolidamente pregiudiziali, il passo è breve. Magdi Allam, ex-giornalista ora eurodeputato italiano a capo della lista di destra nazionalista “Io amo l’Italia”, nel 2007 ha pubblicato Viva Israele, un pamphlet dedicato al “diritto alla vita”, in particolare a quello dello stato israeliano. Chiunque attenti a questo diritto, secondo l’autore è colluso con un’ideologia di morte. In particolare, è accusato l’intero mondo accademico orientalista italiano (che non ha mancato di rispondere alla provocazione). Il gioco è semplice: si accetta il presupposto del rifiuto della violenza, in questo caso a partire da presupposti teorici piuttosto ridicoli (sulla pagina ufficiale di Io Amo l’Italia si possono leggere perle come questa: “Noi abituati all’autoflagellazione dimentichiamo sempre i numeri. I popoli dove il cristianesimo non c’è uccidono molto di più. Sempre.”), si predica il bisogno di mantenere la pace, la stabilità, la democrazia, per poi accusare qualunque posizione più articolata di voler sovvertire questo miracoloso e delicatissimo equilibrio. Estremisti, si dice. D’altra parte, pochi sarebbero disposti a sostenere che posizioni come quella di Magdi Allam non siano estremiste.

Un muro grigio

E’ vero, le cose non sono o bianche o nere. Ma questo non implica affatto che siano grigie. Solo in certe stanze di palazzo si può pensare che bilanciando due poli opposti si possa trovare il colore della realtà. Invece si ottiene una vernice piuttosto utile, se si vuole ridipingere tutto in modo che non si distingua più nulla. Quindi, per favore, non chiedeteci chi ha ragione: noi siamo collusi. Non siamo obiettivi, raccontiamo come possiamo storie soggettive di muri, occupazioni e violenze oggettive. Se dipingiamo, lo facciamo dal vivo, e di certo non ci bastano due colori.

Un muro colorato