La speranza equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi.

Due domande e poco altro

Posted: Marzo 21st, 2013 | Author: | Filed under: General, Rifiuti Generici | Tags: , , , , | Commenti disabilitati su Due domande e poco altro

 

Quest’immagine conta più delle poche parole sotto. Samer Issawi è uno dei prigionieri politici palestinesi. È in sciopero della fame da più di 200 giorni. Ieri ha rifiutato di essere deportato a Gaza. Questo è solo un breve commento alla sua lettera (linkata più avanti). [Disegno di Shahd Abusalama]

Supponiamo che voi esistiate, e che non abbiate appena rapinato una banca. Siete nella vostra città, circondati dai vostri amici e/o dalla vostra famiglia, avete il vostro studio e/o lavoro fisso e/o precario, il vostro appartamento e/o tugurio, il vostro bel portatile su cui leggete blog filopalestinesi. Tutto sommato, siete tranquilli: quando uscite di casa non dovete preoccuparvi di come superare i checkpoint senza essere picchiati dai soldati israeliani, avete acqua corrente, e nessuna bomba vi pioverà a breve sul tetto. Invece, una mattina scendete in strada, vi trovate davanti una volante della polizia, e una decina di anni dopo fate il primo giretto post-detenzione. La banca non l’avevate rapinata voi, ma questo è marginale nella storia. Avete preso botte, siete stati umiliati, avete urlato per anni quello di cui eravate convinti, inutilmente. Vi ricordate bene il giorno in cui avete trovato il vostro compagno di cella impiccato, e non vi importava che fosse “colpevole” o no, avete odiato la violenza, avete odiato il fatto che l’unica decisione che potevate prendere era quella di morire. Morale della storia? Nessuna morale, una domanda: siete completamente sicuri di esistere ancora?

Ora, provate a pensare a come sarebbe stata la storia se la condizione di partenza fosse stata la vostra non-esistenza. Supponiamo siate cresciuti nella più grande prigione a cielo aperto del mondo, che conosciate la sensazione che si prova quando una bomba cade a un soffio da voi, quando l’uscita dal porto della vostra barca da pesca viene salutata da raffiche di mitra, quando l’acqua l’hanno drenata tutta per la piscina del vostro vicino colono, quando una mattina senza preavviso un blindato israeliano sfonda il muro di casa vostra e vi trascina via davanti agli occhi della vostra famiglia. Non vi ricordate più in quante casupole siete stati trascinati e picchiati, sapete solo che adesso siete in una cella. Sapete anche  benissimo perchè siete lì, e gli potete dare qualunque nome: male, guerra, colonialismo, imperialismo. E leggete lo stesso negli occhi dei vostri compagni di cella malconci, stanchi, frustrati. Lo realizzate presto che per voi non c’è possibilità di fuga, che la prigione è prima fuori che attorno a voi. A quel punto, che voi siate idealisti o realisti fa poca differenza: l’unica speranza di liberarsi è che cadano i muri fuori dalla prigione. Così, vi appellate alle vostre forze residue, e fate l’unica cosa che siete liberi di fare: rifiutate il cibo, rifiutate chi pretende di mantenervi in vita per continuare a umiliarvi, e sperate che il vostro messaggio arrivi fuori dalla cella, fuori dalle carceri aperte o chiuse: ci sentite? Vogliamo sfondare questo muro di silenzio, ingiustizia e indifferenza come gli F-16 israeliani sfondano il muro del suono!

Questa storia non ha una fine. Non ancora almeno. E non ha neanche una morale. Solo una domanda: siete completamente sicuri che Samer Issawy e tutti i prigionieri palestinesi che lottano come lui e con lui per la libertà non solo loro, ma della loro terra, non esistano?

Neno