La speranza equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi.

Nè l’acqua

Posted: Marzo 17th, 2013 | Author: | Filed under: General | Tags: , , , , | 1 Comment »

[Soundtrack:  Almost Blue]

18 agosto 2012. Valle del Giordano.

Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano era un luogo irrigato da ogni parte; era come il giardino del Signore.
Genesi 13, 9-11

Alzo gli occhi. Una luce violenta. Sembra che tutto sia stato inghiottito dal sole. Tutto è così luminoso da ferire gli occhi. E il caldo a bruciarti la pelle. Ci muoviamo lenti, o, forse, il paesaggio uniforme trasmette questa impressione.

Alla mia sinistra, terra secca, arida. Gli unici elementi di interruzione in questo continuum spoglio sono sporadici accampamenti beduini palestinesi. Il sole batte sulle lamiere dei tetti, non un albero a fare ombra, solo teli stesi a creare un riparo. Nel niente sotto il sole.

Alla destra, distese di palme da datteri, a perdita d’occhio, perfette nella loro accurata disposizione geometrica, verdissime. I tronchi robusti, saldamente piantati nel terreno; le fronde ampie a proteggere il suolo dall’arsura. Insegne in ebraico stabiliscono orgogliosamente i limiti di proprietà.

È, forse, a quest’immagine che si riferisce la Genesi, come terra irrigata da ogni parte? A questa valle del Giordano guarda Lot, paragonandola al giardino del Signore?

Poi, vieni a conoscenza del fatto che circa l’90% delle risorse idriche del territorio sono in mano israeliana, lasciando alla popolazione palestinese (assai superiore in numero) il restante 10%. Aggiungi il fatto che nella valle del Giordano non si possa costruire cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, poiché vietato. Vedi come si inneschi così un rapporto di necessaria dipendenza, secondo il quale il palestinese non può vivere senza l’israeliano che gli venda l’acqua (la Palestina è, per questo ed altri motivi, il secondo mercato per lo stato d’Israele, dopo gli USA).

Ti dicono che il livello delle acque del Mar Morto decresce di un metro (un metro!) ogni anno, per un abuso da parte di Israele.
Che la valle del Giordano potrebbe essere il paniere per tutta la Palestina, se non ci fosse questo piccolo inconveniente dell’assenza di acqua.
Che il regime israeliano è, in questo senso, peggiore dell’apartheid sudafricano, dove elettricità e tubature dell’acqua erano in comune fra bianchi e neri.
Che la Palestina è l’unico carcere a dover pagare le tasse all’occupante.

Pensi, poi, al giorno prima quando, ad Hebron, dal rubinetto secco non scendeva una goccia, non una. Nello stesso momento, però, nella casa a fianco, un militare israeliano faceva la guardia ad una fontana.

E, allora, ti chiedi perchè continuare a vivere qui. Continuare questa resistenza contro una pulizia etnica implacabile. Ricostruire la tua casa per la terza volta, sapendo che presto un gruppo di militari la abbatterà, ancora una volta. Cercare l’indipendenza, sapendo che se scegli di lavorare, lavori per Israele, se compri l’acqua la compri ad Israele.. Andare alla ricerca di una vita, sapendo che tutti i suoi aspetti essenziali ti vengono negati, ancor prima che sottratti.

Ti risponde un beduino, nella sua calma ascetica, un sorriso sotto la barba bianca. Ti risponde mostrandoti i mattoni di fango creati per dar vita alla sua nuova casa (quella stessa che per tre volte è stata distrutta). Ti spiega che libertà è, per prima cosa, uno stato dell’animo. Ti dice che bisogna avere fiducia nei (seppur lenti) movimenti di cambiamento sociale. Aggiunge, infine, che, grazie alla solidarietà della società internazionale nei confronti del popolo palestinese, “non perderemo mai”.
To exit is to resist.

A.